Bianca, dagli occhi color del cielo...
di Renata
Nei giorni in cui sono nata io è nata anche Bianca.
Ricordo ancora oggi con vivida nitidezza i capelli candidissimi e gli occhi di un azzurro ancor più intenso di quelli di Paul Neumann del mio bisnonno materno, che è morto prima che compissi un anno di vita. E ricordo fin d’allora quella micina che aveva le stesse due caratteristiche che mi affascinavano: il pelo d’angora bianco scintillante e gli occhi blu.
Siamo cresciute insieme, ma non abbiamo mai interagito: Bianca se ne stava sola con la sua mamma Grisina, una micia dal pelo corto maculata con la schiena e pezzature varie grigie striate e petto e musino bianchi, che era il “terrore” del vicinato.
Sì, perché, chissà come mai, Grisina era capitata nel quartiere senza venire mai adottata da nessuno e per vivere doveva rovistare tra i rifiuti e cacciare gli uccellini, i topi e… le bistecche. Mi raccontava mia nonna di quando una volta aveva sentito urlare e imprecare una delle nostre vicine. Affacciatasi alla finestra, mia nonna ha visto Grisina schizzare per il cortile con qualcosa in bocca. Era una bistecca! La micia era entrata di soppiatto in cucina dalla finestra a piano terra, si era piazzata sotto il lavandino ed aveva atteso pazientemente che la cuoca prendesse con le mani la bistecca adagiata sul tagliere sul ripiano del lavello e la facesse transitare sopra allo stretto spazio libero tra lavandino e stufa economica con annessa padella. E in quel preciso istante ZAC! veloce come un fulmine, Grisina è scattata e con un balzo si è appropriata della bistecca. E il tutto è stato così veloce che, mentre la cuoca si stava ancora grottescamente accingendo a distendere in padella un’invisibile fetta di carne, la bistecca stava già uscendo dalla finestra!
La fama della gatta faceva sì che tutti in quartiere la scacciassero e lei aveva quindi paura di tutti. Mia nonna invece le dava da mangiare, lasciandoglielo sul muretto divisorio tra il nostro ed altri cortili e ritirandosi poi perché Grisina e, in seguito, anche Bianca potessero sfamarsi.
Io le spiavo mangiare e cercavo di avvicinarmi ogni giorno di più per farmele amiche. Volevo giocare con Bianca che sentivo “piccola” come piccola ero io, ma la chiamavo e Bianca non rispondeva. Faceva finta di non sentire… E io ci rimanevo male. Così, quando i miei se ne sono accorti, mi hanno spiegato che Bianca non faceva finta: non ci sentiva davvero!
E’ un difetto ereditario, legato a certi geni recessivi che codificano anche per il colore bianco tinta unita del mantello e l’azzurro degli occhi. Proprio le due caratteristiche che mi affascinavano portavano con sé anche la sordità!
Così Bianca è cresciuta senza “accorgersi” di ciò che esisteva al di fuori del perimetro del quartiere, senza mai essere attirata dalla strada con tutti i suoi pericoli, sfamata in parte da mia nonna, in parte dal marito della cuoca derubata (di nascosto dalla moglie, ovviamente..!).
Quattordici anni più tardi la mia famiglia si è trasferita a vivere a casa della nonna e così ho avuto l’opportunità di stare con Grisina e Bianca sempre e non solo qualche ora a settimana: il mio desiderio di renderle “domestiche” poteva forse realizzarsi...
Dalla vecchia abitazione abbiamo portato con noi tre miciotti tra loro fratelli.
Silvestro aveva la vocazione del buon samaritano: il suo primo salvataggio, a un mese dall’arrivo, è stata Cenerella, una micina di circa un mese d’età, tutta grigia e colle zampe e la coda corte che la facevano assomigliare più ad una pantegana che a un gatto. Abbiamo saputo che avevano investito ed ucciso - pare appositamente - la sua mamma davanti a casa nostra qualche giorno prima. Silvestro l’aveva adottata: potevamo non adottarla noi? Da allora se c’era un gatto in difficoltà nel raggio di un chilometro, quel gatto finiva immancabilmente a casa nostra.
Lizzie, la sorella, non ha mai avuto figli propri ma aveva la vocazione della mamma: ogni piccolo abbandonato che seguendo i nostri gatti arrivava nel nostro cortile veniva da lei adottato con trasporto e dedizione.
E infine Minou, un fiero ed atletico maschio che aveva uno spiccato senso della giustizia ed un cuore d’oro. Era l’indiscusso capobranco e a lui sembrava si rivolgessero tutti per dirimere le questioni interne. La sua specialità era recuperare i nostri gatti dispersi e portarne a casa di nuovi in difficoltà.
A tutto questo bisogna aggiungere che i miei hanno conosciuto la fame del tempo di guerra e mio papà in particolare: ha vissuto due anni (1943-1945) di prigionia come Internato Militare, dapprima nel campo di concentramento per ufficiali di Wietzendorf e in seguito come lavoratore coatto ad Amburgo. “Non dire che hai “fame” - mi insegnava -, perchè tu non hai davvero “fame”, ma “appetito”: la fame, quella vera, non sai nemmeno cos’è...”
Perciò a casa nostra c’era sempre una ciotola di pappa per tutti!
E così in breve tempo si è formata un nutrita colonia felina nel nostro cortile, alimentata anche da tutti i gatti del vicinato che passavano la maggior parte della giornata da noi, in compagnia.
Gatti di tutti i tipi, di tutti i colori, di tutti i caratteri. Gatti sani e altri con acciacchi vari come Bengalina che è arrivata da noi colla mascella fratturata e le è rimasto per sempre il faccino storto, Zoppetto che era già anziano e aveva problemi alla zampa posteriore sinistra e traeva un po’ di beneficio esponendo la parte per ore e ore al sole, Griso arrivato con una micosi che non ha mai contagiato nessuno ma che non siamo riusciti a debellare del tutto e quando si ripresentava il problema diventava insofferente ed aggressivo, Michelino trovato cucciolo colle costole rotte e che a distanza di anni ogni tanto si lamentava se lo prendevi in braccio male.
O come Sciabalina, letteralmente buttata giù da un’auto davanti alla porta di casa nostra in condizioni spaventose: una giovane adulta tanto magra da avere solo la pelle sopra le ossa, che si vedevano sporgere soprattutto a livello delle costole e della schiena, dove il bacino rientrava tanto da avere la larghezza stessa dello scheletro; e per di più zoppa alla zampa posteriore sinistra che era rigida e storta. La prima persona che ha aperto il portone e l’ha chiamata è stato mio padre e l’amore e la dedizione che questa gattina ha avuto nei suoi confronti per tutta la vita non ha eguali! Basti dire che non potevamo entrare nello studio di mio padre senza chiedergli il permesso: bastava dire “papà, posso entrare?” e lui, anche dal fondo del giardino, rispondeva “sì” e Sciabalina era la micia più affettuosa del mondo, ma se ti dimenticavi la frase di rito... era sicuro che ti saresti ritrovato una belva furibonda aggrappata unghie e denti ai tuoi polpacci!!!
Con tutta questa baraonda, Grisina e Bianca hanno cominciato a lasciarsi avvicinare. E un bel giorno Bianca ha addirittura accettato di prendere il cibo direttamente dalle mie mani! Ricordo ancora l’emozione di quel momento: Bianca che non aveva mai avuto motivo di fidarsi di nessuno ora si fidava di me! Che bello!!!
Certo qualche inconveniente c’era... Ogni tanto non distingueva bene la carne-pappa dalla carne-dito... Che morsicate! E il problema era che non sentendoci non mollava la presa nemmeno se mi mettevo ad urlare o protestare! Semplicemente si rendeva conto che era troppo “coriacea” la cosa che aveva tra le fauci e, con un certo disappunto, spalancava gli occhi prima socchiusi in un’espressione beata, e ti guardava fissa con fare interrogativo allentando la morsa...
Un giorno, per caso, mentre stavo gorgheggiando in giardino e stavo provando fino a che note acute era in grado di arrivare la mia voce da soprano ho notato che Bianca si è voltata nella mia direzione, accorgendosi della mia presenza. In effetti i cani sentono gli ultrasuoni: che Bianca riuscisse a percepire i miei strilli acutissimi? Ho riprovato e ne ho avuto conferma! Ero felicissima! Ora sapevo - per la “gioia” del mio vicinato - come richiamare Bianca!
E quando la chiamavo, Bianca arrivava subito!
Ma un giorno non è venuta. E anche uno dei nostri gatti, Tigre, che stava sempre con lei, non era tornato per cena...
Mia mamma aveva sentito un vicino di casa brontolare per la presenza di “quella vecchia gatta bianca” sul tetto appena rifatto del suo garage...
Per un anno non c’è stata traccia dei due gatti, poi è arrivato a casa Tigre e un paio di giorni dopo mia mamma ha visto Bianca nel giardinetto del palazzo di fronte a casa nostra. L’ha chiamata ma, non avendo la voce “ad ultrasuoni” come la mia, non è riuscita a farsi notare dalla micia sorda. Così ha mandato in missione il nostro Minoù e, non so se grazie al suo intervento, la mattina seguente Bianca era di nuovo con noi!
E’ rimasta in vita ancora un paio d’anni dopo quell’esperienza ed ha imparato in quel periodo ancora una cosa importante: sono riuscita a sfiorarla e, se agli inizi sembrava sorpresa e lievemente infastidita dal sentirsi toccare, dopo qualche mese ha imparato che le carezze potevano essere molto piacevoli e gratificanti! Ti si buttava addosso alla mano con tutto il suo peso, tanto che se l’avessi tolta sarebbe finita sicuramente a terra, e ti dava zuccate e morsicchiatine a non finire, faceva le fusa rumorosamente e sottolineava la goduria con miagolii rochi e stonati!
Un brutto giorno di giugno Bianca ci ha detto addio, questa volta per sempre. Era vecchia e lo si vedeva. Mangiava ma dimagriva lo stesso e gli ultimi giorni faceva anche fatica a mangiare. Ma come mi ha visto, mi si è avvicinata trascinandosi e mi ha dato una zuccata: il suo ultimo pensiero è stato per me e il suo ultimo desiderio è stata una carezza. Una carezza che per 25 anni non aveva mai conosciuto ma che negli ultimi mesi della sua vita l’aveva fatta sentire amata. Amata e finalmente pienamente felice!

(Bianca all'età di venticinque anni e mezzo)Chissà perchè certi animali ti lasciano un ricordo forse più indelebile di altri. Mio papà un giorno, mentre si discorreva sui vari santi patroni, ci ha pensato un attimo e poi mi ha detto che se mai fosse diventato santo gli sarebbe piaciuto essere il “protettore dei cuccioli degli animali piccoli”. Il protettore dei più deboli tra i deboli, quindi. Forse è proprio questo il motivo: la loro debolezza, il loro handicap, che ti costringe a non dare per scontato nulla, nemmeno l’amore e la gratitudine che ricevi da loro, e ad aprire il tuo cuore accettandoli ed amandoli nel modo più giusto: per quello che, semplicemente, sono...
Parafrasando Orwell, “tutti gli animali sono speciali, ma alcuni animali sono più speciali di altri”...
(Tratto parzialmente dal libro "Il Santo Protettore" di prossima pubblicazione)
Nei giorni in cui sono nata io è nata anche Bianca.
Ricordo ancora oggi con vivida nitidezza i capelli candidissimi e gli occhi di un azzurro ancor più intenso di quelli di Paul Neumann del mio bisnonno materno, che è morto prima che compissi un anno di vita. E ricordo fin d’allora quella micina che aveva le stesse due caratteristiche che mi affascinavano: il pelo d’angora bianco scintillante e gli occhi blu.
Siamo cresciute insieme, ma non abbiamo mai interagito: Bianca se ne stava sola con la sua mamma Grisina, una micia dal pelo corto maculata con la schiena e pezzature varie grigie striate e petto e musino bianchi, che era il “terrore” del vicinato.
Sì, perché, chissà come mai, Grisina era capitata nel quartiere senza venire mai adottata da nessuno e per vivere doveva rovistare tra i rifiuti e cacciare gli uccellini, i topi e… le bistecche. Mi raccontava mia nonna di quando una volta aveva sentito urlare e imprecare una delle nostre vicine. Affacciatasi alla finestra, mia nonna ha visto Grisina schizzare per il cortile con qualcosa in bocca. Era una bistecca! La micia era entrata di soppiatto in cucina dalla finestra a piano terra, si era piazzata sotto il lavandino ed aveva atteso pazientemente che la cuoca prendesse con le mani la bistecca adagiata sul tagliere sul ripiano del lavello e la facesse transitare sopra allo stretto spazio libero tra lavandino e stufa economica con annessa padella. E in quel preciso istante ZAC! veloce come un fulmine, Grisina è scattata e con un balzo si è appropriata della bistecca. E il tutto è stato così veloce che, mentre la cuoca si stava ancora grottescamente accingendo a distendere in padella un’invisibile fetta di carne, la bistecca stava già uscendo dalla finestra!
La fama della gatta faceva sì che tutti in quartiere la scacciassero e lei aveva quindi paura di tutti. Mia nonna invece le dava da mangiare, lasciandoglielo sul muretto divisorio tra il nostro ed altri cortili e ritirandosi poi perché Grisina e, in seguito, anche Bianca potessero sfamarsi.
Io le spiavo mangiare e cercavo di avvicinarmi ogni giorno di più per farmele amiche. Volevo giocare con Bianca che sentivo “piccola” come piccola ero io, ma la chiamavo e Bianca non rispondeva. Faceva finta di non sentire… E io ci rimanevo male. Così, quando i miei se ne sono accorti, mi hanno spiegato che Bianca non faceva finta: non ci sentiva davvero!
E’ un difetto ereditario, legato a certi geni recessivi che codificano anche per il colore bianco tinta unita del mantello e l’azzurro degli occhi. Proprio le due caratteristiche che mi affascinavano portavano con sé anche la sordità!
Così Bianca è cresciuta senza “accorgersi” di ciò che esisteva al di fuori del perimetro del quartiere, senza mai essere attirata dalla strada con tutti i suoi pericoli, sfamata in parte da mia nonna, in parte dal marito della cuoca derubata (di nascosto dalla moglie, ovviamente..!).
Quattordici anni più tardi la mia famiglia si è trasferita a vivere a casa della nonna e così ho avuto l’opportunità di stare con Grisina e Bianca sempre e non solo qualche ora a settimana: il mio desiderio di renderle “domestiche” poteva forse realizzarsi...
Dalla vecchia abitazione abbiamo portato con noi tre miciotti tra loro fratelli.
Silvestro aveva la vocazione del buon samaritano: il suo primo salvataggio, a un mese dall’arrivo, è stata Cenerella, una micina di circa un mese d’età, tutta grigia e colle zampe e la coda corte che la facevano assomigliare più ad una pantegana che a un gatto. Abbiamo saputo che avevano investito ed ucciso - pare appositamente - la sua mamma davanti a casa nostra qualche giorno prima. Silvestro l’aveva adottata: potevamo non adottarla noi? Da allora se c’era un gatto in difficoltà nel raggio di un chilometro, quel gatto finiva immancabilmente a casa nostra.
Lizzie, la sorella, non ha mai avuto figli propri ma aveva la vocazione della mamma: ogni piccolo abbandonato che seguendo i nostri gatti arrivava nel nostro cortile veniva da lei adottato con trasporto e dedizione.
E infine Minou, un fiero ed atletico maschio che aveva uno spiccato senso della giustizia ed un cuore d’oro. Era l’indiscusso capobranco e a lui sembrava si rivolgessero tutti per dirimere le questioni interne. La sua specialità era recuperare i nostri gatti dispersi e portarne a casa di nuovi in difficoltà.
A tutto questo bisogna aggiungere che i miei hanno conosciuto la fame del tempo di guerra e mio papà in particolare: ha vissuto due anni (1943-1945) di prigionia come Internato Militare, dapprima nel campo di concentramento per ufficiali di Wietzendorf e in seguito come lavoratore coatto ad Amburgo. “Non dire che hai “fame” - mi insegnava -, perchè tu non hai davvero “fame”, ma “appetito”: la fame, quella vera, non sai nemmeno cos’è...”
Perciò a casa nostra c’era sempre una ciotola di pappa per tutti!
E così in breve tempo si è formata un nutrita colonia felina nel nostro cortile, alimentata anche da tutti i gatti del vicinato che passavano la maggior parte della giornata da noi, in compagnia.
Gatti di tutti i tipi, di tutti i colori, di tutti i caratteri. Gatti sani e altri con acciacchi vari come Bengalina che è arrivata da noi colla mascella fratturata e le è rimasto per sempre il faccino storto, Zoppetto che era già anziano e aveva problemi alla zampa posteriore sinistra e traeva un po’ di beneficio esponendo la parte per ore e ore al sole, Griso arrivato con una micosi che non ha mai contagiato nessuno ma che non siamo riusciti a debellare del tutto e quando si ripresentava il problema diventava insofferente ed aggressivo, Michelino trovato cucciolo colle costole rotte e che a distanza di anni ogni tanto si lamentava se lo prendevi in braccio male.
O come Sciabalina, letteralmente buttata giù da un’auto davanti alla porta di casa nostra in condizioni spaventose: una giovane adulta tanto magra da avere solo la pelle sopra le ossa, che si vedevano sporgere soprattutto a livello delle costole e della schiena, dove il bacino rientrava tanto da avere la larghezza stessa dello scheletro; e per di più zoppa alla zampa posteriore sinistra che era rigida e storta. La prima persona che ha aperto il portone e l’ha chiamata è stato mio padre e l’amore e la dedizione che questa gattina ha avuto nei suoi confronti per tutta la vita non ha eguali! Basti dire che non potevamo entrare nello studio di mio padre senza chiedergli il permesso: bastava dire “papà, posso entrare?” e lui, anche dal fondo del giardino, rispondeva “sì” e Sciabalina era la micia più affettuosa del mondo, ma se ti dimenticavi la frase di rito... era sicuro che ti saresti ritrovato una belva furibonda aggrappata unghie e denti ai tuoi polpacci!!!
Con tutta questa baraonda, Grisina e Bianca hanno cominciato a lasciarsi avvicinare. E un bel giorno Bianca ha addirittura accettato di prendere il cibo direttamente dalle mie mani! Ricordo ancora l’emozione di quel momento: Bianca che non aveva mai avuto motivo di fidarsi di nessuno ora si fidava di me! Che bello!!!
Certo qualche inconveniente c’era... Ogni tanto non distingueva bene la carne-pappa dalla carne-dito... Che morsicate! E il problema era che non sentendoci non mollava la presa nemmeno se mi mettevo ad urlare o protestare! Semplicemente si rendeva conto che era troppo “coriacea” la cosa che aveva tra le fauci e, con un certo disappunto, spalancava gli occhi prima socchiusi in un’espressione beata, e ti guardava fissa con fare interrogativo allentando la morsa...
Un giorno, per caso, mentre stavo gorgheggiando in giardino e stavo provando fino a che note acute era in grado di arrivare la mia voce da soprano ho notato che Bianca si è voltata nella mia direzione, accorgendosi della mia presenza. In effetti i cani sentono gli ultrasuoni: che Bianca riuscisse a percepire i miei strilli acutissimi? Ho riprovato e ne ho avuto conferma! Ero felicissima! Ora sapevo - per la “gioia” del mio vicinato - come richiamare Bianca!
E quando la chiamavo, Bianca arrivava subito!
Ma un giorno non è venuta. E anche uno dei nostri gatti, Tigre, che stava sempre con lei, non era tornato per cena...
Mia mamma aveva sentito un vicino di casa brontolare per la presenza di “quella vecchia gatta bianca” sul tetto appena rifatto del suo garage...
Per un anno non c’è stata traccia dei due gatti, poi è arrivato a casa Tigre e un paio di giorni dopo mia mamma ha visto Bianca nel giardinetto del palazzo di fronte a casa nostra. L’ha chiamata ma, non avendo la voce “ad ultrasuoni” come la mia, non è riuscita a farsi notare dalla micia sorda. Così ha mandato in missione il nostro Minoù e, non so se grazie al suo intervento, la mattina seguente Bianca era di nuovo con noi!
E’ rimasta in vita ancora un paio d’anni dopo quell’esperienza ed ha imparato in quel periodo ancora una cosa importante: sono riuscita a sfiorarla e, se agli inizi sembrava sorpresa e lievemente infastidita dal sentirsi toccare, dopo qualche mese ha imparato che le carezze potevano essere molto piacevoli e gratificanti! Ti si buttava addosso alla mano con tutto il suo peso, tanto che se l’avessi tolta sarebbe finita sicuramente a terra, e ti dava zuccate e morsicchiatine a non finire, faceva le fusa rumorosamente e sottolineava la goduria con miagolii rochi e stonati!
Un brutto giorno di giugno Bianca ci ha detto addio, questa volta per sempre. Era vecchia e lo si vedeva. Mangiava ma dimagriva lo stesso e gli ultimi giorni faceva anche fatica a mangiare. Ma come mi ha visto, mi si è avvicinata trascinandosi e mi ha dato una zuccata: il suo ultimo pensiero è stato per me e il suo ultimo desiderio è stata una carezza. Una carezza che per 25 anni non aveva mai conosciuto ma che negli ultimi mesi della sua vita l’aveva fatta sentire amata. Amata e finalmente pienamente felice!

(Bianca all'età di venticinque anni e mezzo)
Parafrasando Orwell, “tutti gli animali sono speciali, ma alcuni animali sono più speciali di altri”...
(Tratto parzialmente dal libro "Il Santo Protettore" di prossima pubblicazione)
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